Certamente non siamo più così attaccati e dipendenti dalla natura come i nostri antichissimi progenitori, per cui la ricerca e la raccolta di erbe selvatiche non è più di vitale importanza e il nostro sostentamento non dipende esclusivamente dal raccolto come era tanto tempo fa.

Tuttavia trovare l’occasione per andare in natura e, come i nostri antenati raccoglitori, cercare e raccogliere le erbe, è sicuramente un’esperienza piacevole e per molti aspetti benefica.

Non mi dilungherò a raccontare quanto la nostra vita quotidiana sia ormai sradicata dalla terra e dai suoi ritmi, e quanto questa perdita normalmente nascosta e soffocata, affiori ogni tanto come un rimpianto inspiegabile, specie quando siamo in mezzo alla natura o quando ci raggiunge il profumo del bosco …o quando ci troviamo di fronte a un bel tramonto.
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Impiego domestico delle buone erbe selvatiche.

Tra i principali motivi di una raccolta selvatica quindi c’è il trovare una scusa…un occasione per stare a contatto con la nostra “madre” natura, con le nostre origini. Trovare una scusa per tirarsi fuori dal caos e ……..respirare.

Il senso di liberazione e di libertà che si prova a passeggiare nei campi con un cestino alla ricerca di erbe e fiori è inebriante e sarebbe già sufficiente per motivarci una raccolta selvatica, anziché la solita spesa di erbe sigillate in asettici contenitori di plastica fatta in un centro commerciale.

Concentrato di principi nutritivi preziosi.

Ma questo non è che l’inizio, in realtà i motivi di tale scelta sono tantissimi e validissimi. Le erbe selvatiche sono un concentrato di principi nutritivi preziosi, sia perché cresciute selvagge e libere, e quindi senza concimi e forzature, sia perché la maggior parte di esse sono piante dalle virtù medicinali e quindi per tanti aspetti utili.
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E così, ad esempio, l’insalatina amara di radicchi di campo, oltre a essere così buona, ci aiuta a depurarci e a disintossicarci alla fine dell’inverno e a rinnovarci proprio come la natura si rinnova in questo magico periodo; la frittata di ortica ci fa ristabilire un giusto equilibrio di minerali e soprattutto di ferro; la marmellata di cinorrodi di rosa canina oltre a essere buonissima è anche un sussidio naturale per aumentare le difese nel periodo invernale.

Le erbette aromatiche come la nepetella e la pimpinella rendono più appetitosi e facilmente digeribili i nostri piatti. E che dire dei fiori e dell’allegria che trasmettono alle insalate, alle tartine, alle bevande, ai dolci………e al nostro cuore?

Mangiare erbette selvagge aiuta a prevenire e curare.

E’ chiaro dunque che mangiare queste erbette selvagge, dal sapore così vero e concentrato (basta provare a mangiare l’asparago selvatico e confrontarlo con l’asparago coltivato) non solo ci aiuta a fare a meno di integratori alimentari di sintesi, ma ci potrà aiutare a prevenire e a curare. Del resto la Natura è prodiga di piante che possono alleviare le nostre sofferenze.

L'aspirina.

Basta pensare alla famosa aspirina, ad esempio che è stata prodotta chimicamente copiando ciò che esisteva già in natura, cioè una sostanza trovata in due piante, il Salice (Salix alba) e la Spirea (Spirea olmaria), che hanno dato il nome, sia chimico che commerciale, a questa molecola: da Salice è derivato il nome salicilico, da Spirea quello di aspirina.

Consigli e Segreti per un impiego domestico delle buone erbe dei campi: come raccoglierle.Twitta

Composti di sintesi.

Rispetto ai composti di sintesi dove agiscono le singole molecole le piante agiscono in un complesso di principi attivi definito " totum vegetale" o “fitocomplesso”, dove tutte le sostanze attive sono reciprocamente importanti, e proprio dal loro equilibrio dipende l'azione farmacologica della droga stessa. Inoltre il loro spettro d'azione è più ampio rispetto alle sostanze pure di sintesi perchè una stessa pianta può avere diversi effetti, e può quindi essere impiegata per trattare diversi disturbi.

Ad esempio il Ribes nero è nel contempo antinfiammatorio e immunostimolante, o la rosa canina che contiene acido ascorbico, flavonoidi e carotenoidi, tutte sostanze utili come vasoprotettori e antiossidanti, e che hanno un'azione sinergica che ne potenzia gli effetti.


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Questa denominazione, a differenza del Monica di Cagliari che ha carattere locale del capoluogo, è autorizzata in tutta l'isola sarda, quindi il territorio e i risultati ottenuti da questi vini sono molto vari, pur conservando le caratteristiche principali del vitigno Monica, e dipendono dalla zona esatta di raccolta delle uve.

Il Monica è maggiormente coltivato nella zona sud occidentale dell'isola, in particolare nel Campidano, e nella parte centrale.

Ma tutta la Sardegna è coinvolta nella coltivazione e nella produzione, quindi si va dalla zona pianeggiante e argillosa della provincia di Cagliari a quella granitica di origine vulcanica della parte centrale, entrambe caratterizzate da scarsa piovosità.

Nella zona di Terrealba invece l'abbondanza idrica non rappresenta affatto un problema e il territorio e di derivazione paludosa, con presenza di sabbie.

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La Sardegna.

La Sardegna si è formata nel Paleozoico, tra i 570 e i 225 milioni di anni fa, più precisamente nel periodo Cambriano inferiore, che caratterizzano maggiormente la parte meridionale del Sulcis, con rocce di natura arenacea e carbonatica emerse dalle profondità marine con presenza di numerosi fossili.

Questo tipo di depositi e rocce caratterizzano anche la parte sud orientale e centrale, e comunque generalmente tutta l'isola.

Le seguenti eruzioni vulcaniche nella regione centrale e settentrionale caratterizzano cambiamenti morfologici delle rocce e in Gallura si trovano sabbie e rocce di quarzo e fenomeni attivi di idrolisi.
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Vitigni.

I vitigni rossi coltivati in Sardegna sono molti, da quelli importati da Piemontesi e Spagnoli agli autoctoni.

In particolare per questa denominazione si fa riferimento al vitigno Monica, già descritto più volte e utilizzato in assemblaggio o da solo negli altri DOC sardi.
Vini e vitigni d’Italia: il Monica di Sardegna è un vino rosso sobrio e morbido al palato.Twitta

Monica di Sardegna.

La sua origine non è certa. Si pensa che sia stata importata dagli Spagnoli all'inizio della loro dominazione nell'isola ma non si hanno prove certe e il fatto che quest'uva sia totalmente sconosciuta nella Spagna dei nostri giorni alimenta speranze da parte di molti viticoltori sull'autoctonia di questa varietà, certamente uno delle rivendicazioni più forti dell'orgoglio sardo.



Questo vitigno infatti riesce a produrre vini mono varietali di ottimo pregio e sta iniziando a conoscere una fama non indifferente.
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Generalmente morbido al palato è un vino rosso che accompagna con eleganza e sobrietà tutto il pasto, ma trova il suo naturale accompagnamento con le minestre, le carni bianche e i formaggi a pasta molle.

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L’isola della Sardegna è la terra più ricca di vitigni in Italia, ma è anche quella che presenta una delle vitivinicolture più antiche, sia per la varietà di vitigni, sia per la ricca collezione di vini che mostra. Ogni anno vengono prodotti circa 800mila ettolitri di vino su una superficie vitata di 40 mila ettari. La Sardegna deve questo suo patrimonio vinicolo a diverse invasioni a cui è stata soggetta nel trascorrere del tempo. Il primo popolo che si insediò nell’isola furono i Fenici.

A questi seguirono i romani che rimasero qui per oltre mezzo millennio diffondendo le loro tecniche vinicole. Grazie al popolo romano la Sardegna conobbe oltre 5 secoli di intensa fioritura nel campo enologico.

Successivamente, fu la volta del popolo proveniente dalla Spagna, i quali apportarono grandi modifiche sia per quanto riguarda l’ ambiente vinicolo
sia per quanto concerne l’ambiente viticolo, diffondendo nuove tecniche.
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Per quanto riguarda il giorno d’oggi, il vino in Sardegna va considerato su piccola scala: meglio puntare sulla qualità che sulla quantità. Ogni terreno sardo è buono per la coltivazione di viti, Ma il migliore è quello sabbioso e calcareo.

Con l’acronimo DOC si suole indicare il nome geografico di una fascia geografica che viene utilizzato per designare un vino che presenta caratteristiche qualitative speciali connesse all'ambiente naturale del luogo di produzione.

I vini DOC inoltre devono rispondere ai requisiti stabiliti nel relativo disciplinare di produzione (gradazione alcolica, minima, colore, odore sapore).

La denominazione DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) viene riconosciuta a particolari vini pregiati che vengono sottoposti a un'ulteriore controllo che ne attesti le caratteristiche di particolare pregio. Per i DOCG è inoltre sono previste restrittive per gli impianti: numero di ceppi, sistemi di potatura; altri parametri riguardano l'invecchiamento e l'affinamento.
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In Sardegna sono presenti 18 vini DOC e 1 DOCG
•    Alghero
•    Arborea
•    Campidano di Terralba .
•    Carignano del Sulcis
•    Giro' di Cagliari
•    Malvasia di Bos
•    Malvasia di Cagliari
•    Mandrolisai
•    Monica di Cagliari
•    Moscato di Cagliari
•    Moscato di Sorso e Sennori
•    Nasco di Cagliari
•    Nuragus Di Cagliari
•    Sardegna Semidano
•    Vermentino di Gallura(DOCG)
•    Vermentino di Sardegna
•    Vernaccia di Oristano

L'introduzione delle DOC e delle IGT è stata anche un modo per tutelare anche il consumatore che ha il pieno diritto di degustare un vino le cui qualità rispondano effettivamente alla zona e alla tradizione indicate nel prodotto.

Naturalmente intorno alle DOC girano molti interessi politici e interessi di mercato, e per alcuni vini il riconoscimento della DOC hanno rapresentato il riscatto per una migliore collocazione sul mercato. Naturalmente ciò ha però favorito il rilancio vitivinicolo in territori in cui si stava abbandonando l'attività. Ciò è vero sopratutto per la Sardegna che presenta aree di produzione di vino molto differenziate dal punto di vista pedo-climatico e con diverse varietà delle vitigni.

Nell'ultimo ventennio molti dei più importanti produttori di vino della Sardegna si sono impegnati nel recupero e la rivalorizzazione dei vitigni autoctoni presenti in Sardegna. La crisi del settore vinicolo e la concorrenza dei paesi emergenti come l'Australia e il Chile spinge a lavorare in questa direzione, solo con l'utilizzo di vitigni storicamente legati a un territorio si può arrivare alla produzione diversificata di vini di qualità difficilmente imitabili da altri paesi. In questo senso la Sardegna è avvantaggiata in quanto sono presenti molti vitigni autoctoni che solo in Sardegna hanno trovato il loro habitat naturale e che utilzzati in particolari uvaggi hanno dato vita a vini di altissima qualità.

L’uva Cannonau è stata inserita in Sardegna dal popolo spagnolo. Era conosciuta inizialmente col nomme di granacha o granaxa aragonese, canonazo a Siviglia, grenache nella Francia del sud. Il vitigno Cannonau ha una preferenza per i terreni posti nelle zone più calde del bacino mediterraneo, e viene coltivato anche in California e in Australia, ottenendo un successo veramente strepitoso. Nell’isola della Sardegna, il Cannonau è presente nel Nuorese e sulle colline del Gennargentu, le quali si trovano nella parte orientale dell’isola, a sud del Nuoro. Ma è possibile trovare il vitigno del Cannonau anche nel Sassarese e nel Cagliaritano. L’isola presenta un clima caratterizzato decisamente dalla presenza poco assidua di piogge, il che crea la possibilità per le uve di raggiungere la giusta maturazione con un tasso di zucchero abbastanza alto e ciò avviene proprio perché sono povere di acqua. Inoltre, c’è di più, le uve delle volte vengono vendemmiate tardivamente oppure vengono fatte essiccare prima di mettere in atti il processo di lavorazione delle medesime.

Di conseguenza i vini prodotti hanno un tasso alcoolico decisamente elevato rispetto ad altri, nonostante al giorno d’oggi alcuni produttori sono più predisposti a ridurre tali gradazioni alcooliche per quanto riguarda i vini da pasto, ma sono anche propensi a diminuire il periodo di invecchiamento in modo tale da poter così ottenere dei prodotti che siano più consoni al gusto di coloro i quali sono consumatori e appassionati di vino. Il vino sardo Cannonau può cambiare anche di molto da una varietà all’altra, in quanto la vastità della zona di produzione implica delle differenze inerenti il clima e geologiche che influiscono e condizionano di molto le caratteristiche determinanti e peculiari organolettiche del vino.

Ma all’interno di queste fasce geografiche così vaste, ne esistono alcune più piccole, delle sottozone, le quali danno vita ad altre sottodenominazioni e ad altri vini ben caratterizzati. Si tratta di Oliena o Nepente di Oliena, parte del comune di Orgosolo, provincia di Nuoro, di Jerzu e Cardedu, sempre in provincia di Nuoro, di Capo Ferrato, che interessa i comuni di Castidas, Muravera, San Vito, Villaputzu e Villasimmius, in provincia di Cagliari. Il vino deve essere prodotto con le omonime uve che vanno impiegate nella misura minima del 90 % e possono venire completate da altri vitigni autorizzati, cioè bovale grande, bovale sardo, carignano, Pascale di Cagliari, Monica.

La resa dell’uva per ettaro non deve superare i 110 quintali e il vino ottenuto deve avere un’ alcoolicità minima di 12, 5 gradi e un invecchiamento di minimo 4 mesi. Tra le sue caratteristiche presenta un colore rosso rubino intenso, che tende all’arancione se invecchiato, ha un odore gradevole e un sapore secco. Va servito ad una temperatura pari a 18°C ed è accompagnato da carni bianche saporite, arrosto di maiale, preparazioni alla griglia e allo spiedo. Tra gli altri vini rossi famosi e celebri dell’isola sarda possiamo citare:

•    Alghero rosso: ha un rosso rubino tendente al granato con l’invecchiamento, ha un sapore corposo, tannico e liquoroso, con un odore vinoso. La gradazione alcoolica è pari a 11% vol;
•    Mandrolisai rosso: che ha un sapore asciutto, sapido con retrogusto amarognolo, color rosso rubino tendente all’arancione con l’invecchiamento, la sua gradazione alcoolica è pari a 11,5% vol;
•    Arborea Sangiovese rosso: è un vino dal colore rosso intenso, rubino o rosato, con una sapore asciutto, morbido, fresco, aromatico e un odore vinoso e intenso. La sua gradazione alcoolica è pari a 11% vol.
Nell'ultimo ventennio molti dei più importanti produttori di vino della Sardegna si sono impegnati nel recupero e la rivalorizzazione dei vitigni autoctoni presenti in Sardegna. In questa situazione l’isola sarda è avvantaggiata poichè sono presenti molti vitigni autoctoni che solo in Sardegna hanno trovato il loro habitat naturale e che utilzzati in particolari uvaggi hanno dato vita a vini di altissima qualità. Tra i vitigni più celebri possiamo citare:
•    Bovale Sardo: vitigno a bacca nera, detto anche Bovaleddu, si è probabilmente differenziato nel corso dei secoli dal Bovale Grande, o Bovale di Spagna. Caratterizzato da una produttività elevata, una buona adattabilità a diversi climi e ambienti ed una media tolleranza alle principali crittogame.
•    Cannonau: viene usato nella produzione di rossi, rosé e di vini a sostenuta gradazione alcolica. La zona DOC del Cannonau di Sardegna comprende l'intera regione, che a sua volta è divisa in tre sottozone: Oliena (incentrata sui comuni di Oliena e Orgosolo in provincia di Nuoro), Capo Ferrato (che include i comuni di Castiadas, Muravera, San Vito, Villaputzu e Villasimius in provincia di Cagliari) e Jerzu (incentrato sui comuni di Jerzu e Cardedu in provincia di Nuoro.
•    Monica: la zona di maggior produzione è compresa fra Cagliari, Iglesias ed Oristano ed è considerato il più rappresentativo fra i vitigni rossi.
•    Caddiu: É una varietà molto vigorosa, mediamente produttiva, con una discreta resistenza ai freddi invernali ed alle crittogame. Le sue uve vengono utilizzate solo assieme ad altri vitigni per la produzione di vini rossi comuni, ma anche quale uva da tavola, data la consistenza e la dimensione degli acini.
•    Cagnulari: Vitigno a bacca rossa di probabile origine spagnola, è diffuso soprattutto nel sassarese. Viene coltivato soprattutto nei terreni di Usini, con interessanti realtà dedicate a questo vitigno anche nei comuni di Ossi, Tissi, Uri, Ittiri, Sorso ed Alghero. É un vitigno utilizzato come vino da taglio per contribuire alla produzione di un vino rosso da pasto.
•    Caricagiola: vitigno a uva rossa è diffuso quasi esclusivamente in Gallura. Secondo alcuni sarebbe autoctono, secondo altri proveniente dalla vicina Corsica (dove viene chiamato Bonifaccencu o Carcaghjolu Nero, ovvero "nero che dà molta uva"); secondo altri ancora deriverebbe dal Vermentino Nero toscano o sarebbe imparentato con il Mourvedre Nero o Bonvedro portoghese. Di costituzione vigorosa ed elevata produttività, rustico, preferisce terreni di natura silicea, dove da luogo a vini di colore rosso rubino acceso, con aroma di frutti rossi, ricco di tannini, di acidità contenuta.
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Il Teroldego è il principe dell'enologia trentina. Vitigno di origine autoctona. Dà un vino di carattere ideale per l'invecchiamento. Di colore rosso rubino intenso; il bouquet richiama la viola; il gusto è caldo, asciutto e corposo.

Il vino Teroldego, meglio conosciuto come Teroldego Rotaliano, dall'omonima DOC in provincia di Trento, viene prodotto a partire dall'omonimo vitigno, autoctono della zona conosciuta come Campo Rotaliano o Piana Rotaliana, situata a Nord del Trentino, alle porte dell’Alto Adige.

E' una pianura alluvionale formata dall’Adige e dal Noce, un'area di soli quattrocento ettari che definisce un triangolo il cui vertice è il valico della Rocchetta, all’imbocco della Val di Non, ed i cui lati sono le imponenti pareti rocciose che vi si gettano a strapiombo.

Il sottosuolo è caratterizzato da ghiaia e ciottoli alluvionali dei materiali più disparati, che contribuioscono alla formazione di un sottosuolo ricchissimo di scheletro. L'unicità climatica della Piana Rotaliana è dovuta anche alle alte montagne che la circondano: queste pareti rocciose proteggono le viti dai venti freddi e trattengono il calore estivo.

Il Teroldego ha trovato qui un habitat particolarmente favorevole, in particolare nei comuni di Mezzacorona, Mezzolombardo e San Michele all'Adige.
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Da qualche tempo però la sua coltivazione si va estendendo anche ad altre zone anche se il Teroldego, essendo una varietà altamente sensibile alle condizioni pedoclimatiche, sembra svilupparsi e dare risultati eccellenti solo nella Piana Rotaliana. Il Teroldego è un vino rosso di colore non troppo marcato quando è giovane, e che tende a divenire più intenso, quasi scuro, dopo aver passato qualche anno in cantina, dove può tranquillamente riposare fino a dieci anni.

Il Teroldego ha profumi fruttati, di more, mirtilli e lamponi appena raccolti. Con il tempo i profumi tendono ad amalgamarsi ma il Teroldego non perde il suo carattere che rimane deciso, solido e armonioso. Il Teroldego può accompagnare molti piatti, idealmente portate a base di carni, soprattutto arrosti, ma anche formaggi di media stagionatura.

Il teroldego è un vitigno a bacca nera coltivato quasi esclusivamente in Trentino, nella zona denominata Piana Rotaliana, cui fanno capo i comuni di Mezzocorona, Mezzolombardo e la frazione di Grumo nel comune di San Michele all'Adige.

La foglia è grande, pentagonale e trilobata; il grappolo è medio-grande, allungato e piramidale, talvolta cilindrico, a volte alato, mediamente compatto; l'acino è di media grandezza, rotondo, con buccia di colore nero bluastro, spessa, coriacea e molto pruinosa. La produttività è elevata.

Questo vitigno, di antiche origini, pare sia arrivato in Trentino dal veronese (zona del lago di Garda) dove era conosciuto come Tirodola, dal sistema di impianto con tutori denominati tirelle. Per altri sia l'origine che il nome sarebbero invece da far risalire al Tirolo. Comunque se ne hanno notizie documentali certe solo dall'inizio del XIX secolo.

L'analisi del DNA ha rivelato caratteristiche genetiche comuni al Lagrein, al Marzemino e al Syrah, antichissimi vitigni di origini medio-orientali.

Dalle uve Teroldego si ottiene un vino di colore rubino carico con riflessi porpora; il profumo è vinoso, e si possono percepire odori di viola e lamponi, ma anche di ciliegie e mandorle; il gusto, secco, è strutturato, poco tannico, piuttosto acido, non molto alcolico.
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