orologio_linneoNel lontano 1751, il naturalista svedese Carolus Linneo aveva studiato in ogni dettaglio un orologio floreale che riuscisse a scandire il tempo grazie a dei fiori che sbocciano nell'arco delle 24 ore.

Nel 2003 è stato costruito in Italia un orologio capace di questo.

L'orologio floreale si trova nel quartiere napoletano di Bacoli, è possibile ammirarlo gratuitamente nell'azienda agricola "Il ramo d'oro". L'orologio si trova in una ex cava di tufo che durante la Seconda guerra mondiale era un ricovero per sfuggire ai bombardamenti.

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Ed è in base alla luce che è possibile vedere i fiori schiudersi e capire che ore sono. La scoperta dell’orologio floreale è di Carl von Linn‚, naturalista svedese del XVIII secolo che, durante i suoi studi di botanica, identificò 24 piante i cui fiori sbocciano nelle 24 ore del giorno, così da realizzare un segnatempo.

L’orologio floreale di Bacoli, con il restyling, è stato arricchito di nuove piante e specie vegetali di origine mediterranea come, ad esempio, la Salsefrica e l’Epomea Fior di Luna che schiude intorno alle 7 di sera e i cui semi sono arrivati dalla Romania.

La sua realizzazione è stata possibile dopo aver seguito alla lettera gli studi e le ricerche di Linneo. Così, per esempio, è stato impiegato l’orecchio di gatto maculato per indicare le ore sei del mattino, la passiflora per mezzogiorno, la primula serale per le sei del pomeriggio.

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giugnoGiugno apre le porte all’estate, alla stagione dei raccolti. Delosperma e Drosanthemum, spesso confusi con gli amici del sole, sono tra le perenni che si adattano nel modo migliore all’estate, garantendo fioriture copiose e tappezzanti. 

I Geranium sanguineum da bordura bassa e le echinacee da bordura alta, accostate ai leucantemi o margherite da giardino, completano il mosaico di colori estivi. 

Penso proprio che giugno rappresenti il massimo splendore delle bordure miste e penso anche che non sia necessario andare in Inghilterra per rimanerne estasiati; basta un poco di curiosità per scoprire queste erbacee perenni e il mondo straordinario di fiori e colori che offrono ininterrottamente nelle tre stagioni vegetative.
Fiori di giugno: Choisia ternataI fiori di giugno.
Per il mese di giugno ho scelto un arbusto da fiore insolito per la sua fragranza non solo del fiore ma addirittura del fogliame. 

Si tratta della Choisia ternata, un sempreverde che raggiunge poco più di un metro di altezza e produce splendidi mazzetti di fiori bianchi dal profumo di zagara, accompagnati da minuscole foglioline al profumo di canfora. 


Un arbusto che si adatta a convivere nelle bordure miste in seconda fila, che ben figura nella composizione per la sua forma compatta. Ama esposizioni da mezz’ombra e terreni ben drenati. Non è soggetto a malattie particolari e volendo può essere coltivato anche in vaso, sul terrazzo.
Fiori e frutta di giugno
La frutta di giugno.
Il frutteto ai margini del bosco mi regala i primi frutti, le deliziose pesche precoci “Dixired” e le susine “Goccia d’oro”. Il passeggiare tra i frutti invoglia il palato all’assaggio e la fatidica acquolina in bocca diventa un torrente in piena.  
  
Le prime more e i ribes rossi necessitano di pazienza nel raccolto ma posati sui primi gelati fanno gola anche ai Santi. La stessa cosa varrebbe anche per i lamponi. 

I lavori da fare a Giugno:
In giardino giugno è il mese dei colori, la gran parte delle piante sono in fiore o hanno già preparato i boccioli, è quindi fondamentale garantire il giusto grado di umidità e le giuste dosi di concime.

fiori giugno
Nella gran parte del giardino avremo, già in marzo-aprile sparso del concime a lenta cessione, o dello stallatico, che continuano nel tempo a mantenere costante la quantità di sostanze minerali contenute nel terreno; per le piante in vaso, o comunque per tutte le piante che non abbiamo concimato, sarà importante fornire del fertilizzante mescolandolo all’acqua delle annaffiature, ogni 12-15 giorni. 

Le annaffiature dovranno essere regolari, soprattutto se le temperature sono molto alte ed il clima asciutto; evitiamo di annaffiare il giardino nelle ore più calde del giorno, preferiamo il primo mattino, o la sera, in modo da evitare che le nostre annaffiature evaporino rapidamente sotto il sole cocente.
Anche il prato andrà annaffiato, in modo regolare ed abbondante, e soprattutto se è di nuovo impianto. 

Le alte temperature e le molte ore di insolazione rendono rapida e costante l’evaporazione, soprattutto per quanto riguarda le piante coltivate in vaso; ricordiamo quindi che non serve annaffiare ogni giorno, se forniamo poca acqua, che evapora rapidamente. 

Un’annaffiatura corretta in giugno viene fornita anche solo ogni due giorni, però viene effettuata bagnando a fondo il terreno, soprattutto quello contenuto nei vasi; se i vasi risultano molto asciutti possiamo addirittura immergerli in un secchio d’acqua, per permettere al pane di substrato attorno alle radici di reidratarsi completamente. 

In giardino, dopo aver annaffiato, dovremmo poter trovare l’acqua ad una profondità di circa 15-20 cm; se così non è, nell’arco di poco tempo il terreno tornerà secco ed asciutto, lasciando le radici delle nostre piante in un clima arido. 

Ricordiamo di annaffiare in giugno anche le succulente, lasciando che il terreno asciughi completamente tra un'annaffiatura e l'altra. 

Potature.
Hednarum Il grosso delle potature sono già state effettuate, ricordiamo però che le siepi, i rampicanti e le rose vanno potati con regolarità; quindi cimiamo i rami delle rose che portano fiori appassiti e accorciamo i rami di siepi e rampicanti che si sono sviluppati eccessivamente. 

Evitiamo di potare le piante in modo massiccio, soprattutto nelle giornate più calde: la perdita di linfa dalle ferite sommata alla siccità esterna potrebbe essere deleteria per le piante. 

Trattamenti.
I mesi estivi rendono i trattamenti abbastanza difficoltosi; infatti la gran parte delle piante sono in fiore, diventa quindi  arduo distribuire un insetticida senza andare a disturbare o uccidere anche gli insetti utili, come bombi e api. Evitiamo quindi di utilizzare insetticidi in giardino nelle ore del giorno, momento in cui le api si aggirano sui fiori. 

Anche i fungicidi andranno utilizzati nelle ore serali, quando il sole si abbassa sull’orizzonte.
Oltre che per evitare di disturbare gli insetti utili i trattamenti vanno effettuati nelle ore fresche della giornata anche per evitare che i prodotti vaporizzati sul fogliame evaporino rapidamente, facendo un effetto di “lessatura” sulle foglie.
 

 

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agrumiClassificazione botanica.
Gli agrumi appartengono a diversi generi, di cui i principali sono Citrus, Fortunella e Poncirus. Vengono coltivati prevalentemente per la produzione di frutti da destinare al consumo fresco o alla trasformazione industriale, ma anche per scopi ornamentali. Hanno luoghi di origine diversi e quasi sempre ricadenti in una vasta area dell’Asia sud-orientale.

Compatibilmente con la loro scarsa resistenza alle basse temperature, si sono diffusi in molte altre parti del mondo, dal bacino del mediterraneo all’America e al Sudafrica, attraversando la storia delle più grandi civiltà. In Italia hanno trovato una zona d’elezione nelle regioni meridionali, per il clima mite e per il tipo di terreno. Come piante ornamentali hanno una notevole tradizione in Toscana e nelle regioni dei grandi laghi del Nord, dove è diffusa l’abitudine di costruire, all’interno delle ville, particolari strutture adatte ad ospitare gli agrumi nei mesi invernali, e cioè aranciere e limonaie.

Gli agrumi appartengono alla famiglia delle Rutaceae, sottofamiglia Aurantioideae, tribù Citreae, sottotribù Citrinae. La classificazione degli agrumi ha impegnato a lungo i tassonomi a causa della presenza di individui derivati da ibridazione naturale considerati da alcuni come specie a sé stanti. Dell’origine di questi ibridi naturali si è persa ogni traccia, mentre di quelli ottenuti in epoca più recente si conoscono più o meno bene le specie d’origine.

Il genere Citrus è sicuramente il più importante.
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Caratteri morfobiologici .
Le foglie sono spiravate, oppure opposte, e prive di stipole. I fiori (zagare) sono ermafroditi con corolla costituita per lo più da 5 petali. L’apparato maschile è formato da due verticilli di quattro-cinque stami (nel genere Citrus sono saldati lateralmente per i filamenti e disposti in gruppi, arrivando fino a 25-40 stami); l’apparato femminile ha in genere cinque carpelli (più raramente quattro), uniti in un ovario supero diviso in cinque-dieci logge. Il frutto è più spesso una bacca, ma può anche essere una drupa o una capsula.

Il genere Citrus ha come frutto una bacca, detta esperidio, caratterizzata da un epicarpo o esocarpo (la parte esterna) di notevole spessore, colorato e ricco di ghiandole contenenti oli essenziali: è denominato flavedo. Il mesocarpo (albedo), parte interna saldata all’epicarpo, è bianco e spugnoso: si chiama albedo. L’endocarpo, la parte più interna, è suddiviso in logge (spicchi) per mezzo di sottili membrane; all’interno si trovano cellule, le vescicole, ripiene di una soluzione acquosa di zuccheri e acidi.

Entro ogni loggia si possono riscontrare da 4 a 8 ovuli i quali possono o meno originare altrettanti semi. I semi, di colore biancastro, di forma ovoidale, contengono, in genere, più embrioni, di cui uno ha avuto origine dalla fecondazione, mentre i restanti sono apodittici e pertanto con patrimonio cromosomico identico a quello della pianta madre. L’epoca di fioritura è alquanto variabile andando da febbraio-marzo all’estate; parimenti varia l’epoca di maturazione che va dall’autunno alla primavera dell’anno successivo. Gli agrumi hanno una certa attitudine alla rifiorenza.
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Esigenze pedoclimatiche.
Essendo piante di origine tropicale, hanno particolari esigenze nei confronti del clima; per ottenere, infatti, una produzione commerciale valida occorre che questo sia caldo, sufficientemente umido, con inverni miti e senza ampie escursioni termiche, anche se una moderata presenza di queste ultime consente nelle zone mediterranee la comparsa di pigmenti antocianici e carotenoidi, responsabili del colore nelle arance e nei mandarini, cosa che risulta impossibile, proprio per la loro assenza, nelle aree tropicali di origine. In genere svolgono la loro attività vegetativa a temperature comprese tra i 13 e i 30°C.

Relativamente al freddo, vengono danneggiati da temperature inferiori a 0°C con intensità variabile in relazione alla specie e alla varietà. Dannose risultano pure le temperature superiori ai 38°C, specie se si verificano in coincidenza di condizioni di bassa umidità relativa e durante la fase dell’allegagione.
La presenza di venti forti e persistenti può provocare gravi danni alle colture di agrumi (disseccamento delle foglie e dei giovani germogli, rotture meccaniche di rami, ferite da sfregamenti sugli stessi frutti). Per ovviare a tali inconvenienti si ricorre spesso ai frangivento (vivi o morti).

Nei nostri climi, per ottenere una produzione valida, la piovosità annua dovrebbe essere ben distribuita e superare i 1.800 mm. Quindi, in Italia, l’irrigazione è quasi sempre necessaria.

Riguardo al terreno, gli agrumi prediligono quello sciolto o di medio impasto, profondo, fertile, ben drenato (non sopportano i ristagni idrici), con pH compreso tra 6,5 e 7,5 e ben dotato di sostanza organica. Rifuggono i terreni troppo argillosi, calcarei e salsi.
agrumi  propagazione
Propagazione e portinnesti.
Gli agrumi presentano spesso la possibilità di riprodurre per seme delle piante geneticamente identiche alla pianta madre grazie alla poliembrionia nucellare. Tali piante hanno il pregio di essere prive delle più importanti infezioni virali, tant’è che la selezione nucellare è stata la prima tecnica utilizzata per risanare il materiale di propagazione. Nel lavoro di miglioramento genetico e di risanamento delle infezioni virali vengono oggi impiegate la micropropagazione, la coltura in vitro di embrioni e il microinnesto.

Per prevenire alcune fitopatie che colpiscono l’apparato radicale si ricorre all’innesto (a gemma, a penna e a corona). L’innesto a corona si utilizza su fusti o rami di grande diametro, anche per reinnestare piante la cui produttività è diminuita o per cambiare la varietà coltivata. Altri metodi di propagazione impiegati sono la talea e la margotta.

I portinnesti usati per gli agrumi sono diversi e individuabili nell’arancio amaro, arancio dolce, arancio trifogliato, ibridi di arancio trifogliato, tipo limone, mandarino e mandarino-simili, lime, altre specie e altri generi.
agrumi malattie
I portinnesti più utilizzati in Italia sono:
- Arancio amaro (Citrus aurantium): è adatto per terreni sciolti, sabbioso-limosi e moderatamente argillosi; buona la resistenza al gelo; tollera una modesta presenza di sali e un pH elevato; in alcune specie costringe a ritardare la raccolta perché i frutti restano acidi a lungo e si addolciscono solo con il tempo; dal punto di vista fitopatologico è suscettibile alla tristezza e al mal secco, sensibile ai nematodi e molto resistente alla Phytophtora; in genere permette di ottenere piante con un vigore da moderato ad alto, con un’ottima qualità del frutto, di pezzatura piccola; è incompatibile con la varietà di limone “Monachello”.
 
- Limone volkameriano (Citrus volkameriana): è adatto per terreni sciolti o sabbiosi e sopporta acque con una modesta salinità; buona la resistenza al gelo; riguardo a malattie e parassiti è suscettibile ai nematodi e alla psorosi, mentre tollera la tristezza e la exocortite (mediamente la Phytophtora e il mal secco); permette di ottenere frutti di pezzatura grande; la produzione è abbondante ma la qualità molto modesta; non sono segnalate incompatibilità.
- Alemow (Citrus macrophylla): si adatta a tutti i tipi di terreno e sopporta una modesta salinità; è sensibile al gelo; resiste alla Phytophtora, mentre è sensibile e mal secco e suscettibile alla tristezza; la produzione che si ottiene è abbondante; i frutti si ingrossano precocemente ma la qualità è molto bassa; è un portinnesto utilizzato soprattutto per il limone e le clementine.
- Arancio trifoliato (Porcirus trifoliata): ama i terreni di medio impasto, non gradisce il calcare (il tenore di calcare attivo non deve superare il 4%) e richiede acqua di buona qualità; è sensibile alla salinità, mentre resiste alle gelate nelle aree con inverni non troppo miti; può soffrire in terreni sabbiosi, in caso di siccità, perché ha radici piuttosto superficiali; resiste ai nematodi e alla Phytophtora e tollera la tristezza; discreta la resistenza al mal secco; lo sviluppo della pianta è normale e la produzione elevata, con una qualità eccellente dei frutti che sono anche di pezzatura notevole e hanno una colorazione intensa; è utilizzato per mandarini, aranci, kumquat e, in genere, per le piante coltivate in vaso, dove dà i migliori risultati.
- Citrange (Citrus sinensis x Porcirus trifoliata): si adatta a una notevole varietà di terreni, anche con un elevato contenuto di calcare attivo, e ha bisogno di acqua di buona qualità; sopporta poco la salinità, mentre tollera le gelate moderate; resiste alla Phytophtora e al mal secco, tollera la tristezza e ha una resistenza media ai nematodi; la produzione è abbondante, con frutti di pezzatura grande e di eccellente qualità; è utilizzato per aranci, pompelmi, mandarini e limoni; in Italia si utilizza la cultivar “Troyer”, in America anche la “Carrizo”.

Miglioramento genetico.
Il lavoro di miglioramento genetico nella costituzione ei portinnesti è rivolto particolarmente ad ottenere oggetti con:
- maggiore adattabilità alle condizioni pedoclimatiche più difficili;
- elevata resistenza ai principali parassiti animali e vegetali;
- ottima affinità d’innesto con le diverse specie;
- capacità di indurre una precoce messa a frutto ed una produzione elevata e di ottima qualità;
- capacità di indurre una limitata vigoria al nesto;
Per quanto riguarda gli obiettivi del miglioramento genetico a livello di cultivar, gli obiettivi principali sono:
- piante altamente produttive, longeve, non soggette ad alternanza di produzione, resistenti alle basse temperature, esenti da infezioni virali (nel limone, tolleranti gli attacchi del mal secco);
- produzione uniforme, frutti di media pezzatura, con forma regolare, con buccia liscia e di spessore contenuto, di colore ed aroma caratteristico, privi di semi e con elevato contenuto di succo.
agrumi irrigazione
Impianto, concimazione e irrigazione.
Il momento migliore per mettere a dimora le giovani piante di agrumi è la primavera, da fine marzo a maggio, a seconda delle zone, quando il rischio di gelate è ormai passato. La lavorazione profonda del terreno deve essere preceduta, alcuni mesi prima, da una concimazione di fondo.

Molto importante è la predisposizione di un buon impianto di drenaggio, soprattutto nei terreni piuttosto pesanti. Lo scasso deve è seguito da un’erpicatura profonda. Prima della messa a dimora delle piante (generalmente disponibili in fitocelle) bisogna predisporre le buche.

Attorno a ogni pianta si scava un piccolo “tornello” per trattenere l’acqua nelle prime fasi dopo la messa a dimora e si irriga abbondantemente.

Per una corretta concimazione è sempre necessaria l’analisi del terreno, da integrare con l’analisi fogliare che permette di sapere quali sono i livelli nutrizionali raggiunti dalla pianta e diagnosticare così eventuali situazioni di carenza o di eccesso dei diversi elementi nutritivi. Per l’analisi fogliare il prelievo va fatto a fine estate-inizio autunno, prelevando foglie emesse cinque-sette mesi prima da rami non fruttiferi.

Le foglie degli agrumi, durante la fase di attività vegetativa, possono assorbire una certa quantità di elementi nutritivi. Questo consente di intervenire con la concimazione epigeica soprattutto in caso di carenze di alcuni elementi o di stress vegetativi.

L’ambiente mediterraneo è caratterizzato da una scarsa piovosità, oltretutto concentrata nel periodo autunno-vernino. Necessario risulta quindi il ricorso all’irrigazione per sopperire alla deficienza di acqua nel periodo estivo.

Gli agrumi, poi, risultano particolarmente esigenti nei confronti della qualità delle acque irrigue; infatti un elevato contenuto di cloro, boro e sodio ed altri elementi provocano una sintomatologia caratteristica a causa di un loro accumulo nelle foglie e nei casi gravi una riduzione della qualità e quantità di produzione.

La tolleranza nei confronti dei vari sali risulta altamente variabile in relazione al portinnesto e alla specie. Per quanto riguarda i sistemi di irrigazione, oltre ai tradizionali metodi per sommersione a conche e infiltrazione a solchi, risulta attualmente preferito, negli agrumeti della Sicilia e della Calabria, quello per aspersione sotto chioma e in alcuni casi a goccia.

Per il controllo delle erbe infestanti, responsabili di esercitare una spiccata competizione idrica nel periodo primaverile-estivo, viene generalmente praticato il diserbo.(raramente la pacciamatura), generalmente stagionale, cioè attuato solo nel periodo primaverile-estivo dopo che con una lavorazione superficiale si è provveduto alla triturazione delle erbe accresciutesi nel corso delle due precedenti stagioni. In questo modo si ha, durante l’anno, lo coesistenza dell’inerbimento e del diserbo, il che permette di non rinunciare ai vantaggi del primo (es. accumulo di sostanza organica).
agrumi potatura
Forme di allevamento e potatura.
La forma di allevamento che maggiormente si riscontra negli agrumeti è il globo. Per ottenere tale forma si parte da una pianta già impalcata a circa 0 cm dal terreno e presentante 3-4 branche. Tali branche devono essere inclinate di 60° rispetto alla verticale, essere in posizione simmetrica ed i loro punti di inserzione devono essere distanti circa 10-15 cm uno dall’altro; eventuali rami in eccedenza saranno eliminati. In ogni caso gli interventi cesori devono essere limitati al minimo indispensabile. Tali branche saranno ricoperte da una vegetazione più o meno folta, in relazione alla specie ed alla varietà. Le attuali tendenze, al fine di utilizzare tutto lo spazio disponibile, puntano ad ottenere una forma di allevamento a chioma piena, cioè a far espandere la vegetazione delle branche fino al suolo. Molto utilizzato il sesto d’impianto in quadrato 5 x 5 m.

Le attuali tendenze sono quelle di adottare un sesto d’impianto temporaneo di m 4-5 x 3-3,5, al fine di ottenere un rapido ammortamento delle spese di impianto (anticipo della massima produttività per ettaro). Allorché le piante avranno raggiunto uno sviluppo tale da ostacolarsi l’un l’altra, queste dovrebbero essere diradate, eliminando le file in modo alterno, ottenendo un sesto di m 4-5 x 6-7 m.
Negli agrumi la fruttificazione avviene sui rami dell’anno precedente e l’accrescimento dei rami si verifica normalmente in tre periodi: primavera, inizio estate e autunno. L’induzione fiorale delle gemme comincia durante il periodo di riposo invernale, mentre il massimo contenuto di sostanze di riserva nelle foglie e nei rami lo si ha nei mesi di febbraio e marzo.

L’allegagione dei fiori è in funzione della quantità di sostanze di riserva presenti nella pianta. La potatura, dunque, non andrebbe mai eseguita in febbraio e marzo, quando si ha l’accumulo delle sostanze di riserva. E vanno ugualmente evitati i periodi in cui le temperature sono molto basse o molto alte. Non bisogna esagerare con le potature, limitandosi solo ad alleggerire la chioma eliminando i rami secchi, rotti o debilitati dopo che hanno già fiorito o quelli curvi verso il basso.

I secchioni, cioè i lunghi rami privi di frutti, vanno eliminati quando provengono dalla parte basale delle branche più grosse, mentre per quelli situati nelle zone più periferiche della chioma ci si può limitare alla spuntatura.
  
In alcune specie, come nel mandarino o nelle clementine, si osserva un certo affastellamento dei germogli: li si deve quindi diradare per far sì che i rametti siano correttamente distanziati. Su questa specie, la potatura dovrebbe essere effettuata tutti gli anni, per evitare l’alternanza di produzione; per altre specie, come l’arancio, il turno di potatura può invece essere pluriennale.

Nella fase giovanile di allevamento i tagli sono da evitare il più possibile, per non ritardare l’entrata in produzione, procedendo eventualmente alla sola asportazione dei secchioni. E anche sulle piante adulte non si deve intervenire troppo severamente per non alterare il rapporto tra vegetazione e produzione: tagli eccessivi favoriscono infatti la vegetazione a scapito della formazione dei frutti. Le potature sono invece necessarie quando si verificano attacchi parassitari da cocciniglie e quando l’altezza della pianta non permette più un’agevole raccolta da terra.
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Raccolta e conservazione dei frutti .
La raccolta va effettuata quando i frutti hanno raggiunto un grado di maturazione sufficiente: al contrario di altre specie, infatti, la maggior parte degli agrumi non può completare la maturazione dopo che i frutti sono stati staccati dall’albero (i limoni invece possono maturare anche una volta staccati dalla pianta).

Si raccoglie con tempo asciutto e dopo che i frutti non sono più umidi della rugiada che si è condensata durante la notte. Durante l’operazione bisogna badare a non provocare danni ai frutti, per non aprire inavvertitamente la strada ai parassiti.

La raccolta viene attuata sia da terra che con scale e i frutti, raccolti con l’ausilio di apposite forbici, per non privarli della rosetta, vengono posti in cesti di plastica o nei cesti a sacco e successivamente in cassette di plastica del contenuto medio di 20-22 kg.

Le cassette, poi, vengono portate ai bordi degli appezzamenti ed accatastate sui pallets o caricate direttamente sui mezzi di trasporto e da qui trasferite ai magazzini di lavorazione e/o conservazione. Una volta che il prodotto è arrivato al magazzino, questo subisce una lavorazione consistente in: lavaggio, trattamento anticrittogamico, ceratura, selezione, calibratura e confezione. A tali operazioni possono, poi, esserne aggiunte altre, in dipendenza della specie e della destinazione del prodotto, così come alcune di esse possono essere eliminate.

La conservazione dei frutti, che deve essere preceduta da una efficace lotta preventiva contro le alterazioni di postraccolta, può essere effettuata in atmosfera normale o controllata.

Un’operazione tipica degli agrumi è la deverdizzazione, che scaturisce dal fatto che i frutti di alcune specie e varietà, pur commercialmente maturi, non hanno perso completamente il colore verde della buccia, e riguarda i limoni autunnali, le arance tardive, i mandarini, le clementine ed i satsuma.

Oltre che per il consumo fresco, gli agrumi possono essere utilizzati nell’industria, cui sono destinati il cernimento di magazzini, lo scendialbero e lo scarto di campagna. I prodotti che si possono ottenere sono: essenze o oli essenziali, succhi, scorze in salamoia e candite, confetture, olio di semi, vino e aceto, paste aromatizzanti, alcool industriale, mangimi zootecnici, pectine e acido citrico.
agrumi muffa
Avversità e parassiti.

Avversità non parassitarie.
 Sono rappresentate dalle avverse condizioni climatiche (basse o elevate temperature, vento e grandine), dalle carenze nutrizionali, comprese quelle idriche, dall’uso errato di fitofarmaci e dagli inquinanti atmosferici.

Gli agrumi sono altamente sensibili alle basse temperature, tanto che già a valori termici superiori a 0°C si possono verificare delle alterazioni.

Virosi e Batteriosi.

Tra le virosi in grado di determinare gravi danni agli agrumi ricordiamo: Exocortite, Maculatura anulare, Psorosi, Tristezza, Impietratura, Cristacortis, ecc.

La batteriosi più dannosa è quella causata da Pseudomonas syringae.

Parassiti vegetali.
Numerose sono le malattie che causano danni, anche di notevole entità, sugli agrumi. Quelle di maggior interesse sono il Mal secco (Deuterophoma tracheiphila), la Gommosi del colletto, il Marciume pedale e i Marciumi delle radici ( causati da alcune specie del genere Phytophthora), il Cancro gommoso (Botryosphaeria ribis), la Fusariosi (Gibberella baccata), l’Antracnosi (Colletotrichum gloeosporioides), la Carie del legno (determinata da diversi patogeni, tra cui alcune specie dei generi Fomes, Polyporus, Stereum, Schyzophyllum, Ganoderma e Trametes), il Marciume radicale lanoso (Rosellinia necatrix) e quello fibroso (Armillaria mellea), l’Allupatura o Marciume bruno (Sintomo sul frutto causato dagli stessi agenti della Gommosi del colletto e dei Marciumi del pedale e delle radici). Gli agrumi sono attaccati anche da altri agenti patogeni (es. Fusaggini, Mal di terra dei mandarini, Marciume acido, ecc.) più rari e che difficilmente provocano danni seri.

Parassiti animali
Gli agrumi sono attaccati da numerosi insetti, acari e nematodi in grado di provocare danni alquanto elevati. Tra le specie più dannose ricordiamo:

- Insetti: il Tripide degli agrumi (Heliothrips haemorrhoidalis), la Camicetta verde (Calocoris trivialis), l’Empoasca (Asymmetrasca decens), la Mosca bianca (Dialeurodes citri), la Mosca fioccosa (Aleurothrixus floccosus), l’Afide verde (Aphis citricola), lAfide bruno (Toxoptera aurantii) e l’Afide del cotone (Aphis gossypii), la Cocciniglia cotonosa-solcata (Peryceria purchasi), il Cotonello (Planococcus citri), la Cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae), la Cocciniglia del fico (Ceroplastes rusci), la cocciniglia a virgola (Mytilococcus beckii), la Cocciniglia grigia (Parlatoria pergadei), la cocciniglia bianca (Aspidiotus nerii), la cocciniglia rossa forte (Aonidiella aurantii), la Tignola della zagara (Prays citri), l’Oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis), la Mosca della frutta (Caratitis capitata), la Tortricide dei germogli (Archips rosanus) e la Celidonia della zagara (Contarinia citri).
- Acari: l’Acaro delle meraviglie (Eriophyes sheldoni), l’Acaro rugginoso (Aculops pelekassi), i Tenuipalpidi (Brevipalpus phoenicis e Brevipalpus californicus), il Ragnetto rosso (Tetranichus urticale) e un nuovo ragno rosso (Panonychus citri).
- Nematodi e altri parassiti animali: tra i nematodi, il Tylenchulus semipenetrans, il Pratylenchus vulnus, il Meloidogyne javanica e il Radopholus similis; tra gli altri parassiti animali che possono causare danni più o meno gravi e frequenti agli agrumi si ricordano le limacce, le lumache, i roditori e le arvicole.
agrumi acari
 
 
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OlivetoL’olivo coltivato (Olea europea) appartiene alla vasta famiglia delle Oleaceae, che comprende 30 generi, 600 specie, fra gli altri anche i generi Ligustrum, Syringa e Fraxinus.

Questa specie viene a sua volta suddivisa in due sottospecie:
- O. europea oleaster Hoffm. Et Lk. (oleastro): di taglia piccolo, con rami provvisti di spine e frutti piccolo dotati di poca polpa;
- O. europea sativa Hoffm. Et Lk. (olivo coltivato). 


L’olivo è specie rustica, dotata di potente apparato radicale e quindi in grado di esplorare un ampio volume di terreno; nonostante questo la concimazione non riveste un importanza secondaria, soprattutto se si vogliono ottenere produzioni abbondanti e di qualità. 

L’apporto di elementi nutritivi dipende principalmente dalla fertilità del terreno, dalle esigenze nutritive della pianta, dalla sostanza secca prodotta e dalla tecnica colturale, specialmente irrigazione e conduzione del terreno.

Gli elementi che rivestono un ruolo fondamentale nella nutrizione dell’olivo sono N, P, K, Ca, Mg e B.
L’azoto controlla il vigore della pianta e del suo equilibrio vegeto-produttivo.
olivo
Carenze di azoto causano:
- Minore attività di crescita;
- Anomalie fiorali;
- Produzioni più scarse ed alternanti. 


Anche eccessi di azoto sono nocivi, perché la pianta, oltre a ritardare la maturazione, si mostra più sensibile al freddo ed agli attacchi parassitari. L’olivo ha maggiori esigenze d’azoto nelle fasi di fioritura ed indurimento del nocciolo; in genere assorbe azoto in discrete quantità e quindi sia nella concimazione d’allevamento, che in quella di produzione ne richiede congrui apporti.

Il fosforo regola l’accrescimento e la fruttificazione; raramente però se ne riscontrano carenze od eccessi. In relazione poi alle limitate esigenze nutritive dell’olivo ed ai lenti e non sempre rilevabili effetti degli apporti fosfatici, si tende a fare modeste concimazioni fosfatiche.

Il potassio favorisce l’accumulo dell’amido, regola il bilancio idrico ed aumenta la resistenza alle avversità ambientali. Le carenze, non molto usuali, si manifestano con colorazione verde meno intensa delle foglie, necrosi apicali e nei casi più gravi filloptosi. Questo elemento è assorbito dall’olivo in elevate quantità, ma la sua somministrazione tramite i concimi potassici può essere modesta, perché la maggior parte dei terreni olivicoli italiani, specialmente quelli argillosi, ne è ben provvista.

Il calcio è l’elemento assorbito in maggiori quantità dall’olivo, ma essendo presente nel terreno, non viene, se non raramente, somministrato tramite le concimazioni.
olivo concimazione
Il ferro, il boro ed altri microelementi, pur assumendo un’importante funzione nella nutrizione minerale dell’olivo, non sono in genere apportati tramite concimi chimici; negli ultimi anni comunque si ricorre sempre più spesso ad una concimazione fogliare in pre-fioritura a base di boro, questo per aumentare la percentuale di allegagione. 

Le asportazioni annuali di un oliveto con una produzione media di 40-50 q/ha di olive, sono le seguenti in Kg/ha: 

- N 40-70
- P2O5 10-20
- K2O 60-100 

  
I dati sono medi ed indicativi, in quanto i diversi sperimentatori, che hanno studiato l’argomento, hanno ottenuto risultati a volte differenti.

La diagnostica fogliare offre buone possibilità per individuare lo stato nutrizionale della pianta d’olivo. Valori medi ottimali di elementi contenuti nelle foglie in percentuale della sostanza secca sono: 


- N 1,19
- P2O5 0,17
- K2O 0,61
- Ca 2,64
- Mg 0,22 


Comunque in considerazione dei diversi ambienti pedoclimatici in cui si coltiva l’olivo e delle numerose cultivar presenti, non è facile indicare formule di concimazione universalmente valide.

Per la concimazione d’allevamento si ricorre prevalentemente a somministrazioni azotate via via crescenti, prima localizzate e poi a tutto campo.
Olivo_nutrizione
La concimazione di produzione praticata in molte zone è la seguente:
- N in dosi di 50-80 Kg/ha,
- P2O5 in dosi di 50-60Kg/ha,
- K2O in dosi di 60-100 Kg/ha. 


I tempi di somministrazione possono essere unici ad inizio primavera o si possono fare più concimazioni con la seguente cadenza: 

- in autunno, impiego di concimi fosfo-potassici;
- a fine inverno, parte dei concimi azotati per favorire il germogliamento e lo sviluppo fiorale;
- in primavera inoltrata, i restanti concimi azotati, per favorire l’allegagione e la piena attività vegetativa. 


I concimi si possono somministrare unitamente all’acqua d’irrigazione, con la tecnica della fertirrigazione.

La concimazione organica, con apporto di letame, sovescio od altro materiale organico di basso costo e facilmente reperibile, è senz’altro consigliata, per mantenere un sufficiente livello di humus nel terreno.
La concimazione fogliare con urea (1 Kg/100 litri di acqua) o con preparati commerciali a base di microelementi, è utile in presenza di periodi critici e di malattie di carenza, o in pre-fioritura se si effettuano trattamenti con Boro, come si era già detto prima.
olivo azoto
 
 
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viticoltura-organica-italia2Dire vino biologico è improprio perché tale presentazione del vino non è prevista né a livello comunitario né a livello nazionale. E’ invece possibile una presentazione che indichi che il vino è stato elaborato a partire da uve ottenute con metodi di produzione biologica. 

Il vino risente meno di altri prodotti della necessità di una differenziazione dalla pratica produttiva tradizionale. Tutto il vino elaborato secondo le pratiche enologiche autorizzate in ambito comunitario, deve essere considerato un prodotto naturale. Il processo che porta dall’uva al vino è un esempio tipico di processo biologico, in quanto avviene attraverso il metabolismo di lieviti, di solito Saccharomyces Cerevisiae, e successivamente,in molti casi, di batteri lattici. Ritroviamo quindi forte consonanza con il termine “biologico” (dal greco bios=vita e logos=parola, ossia riferito a tutti gli esseri viventi,vegetali o animali).

L’uso dell’anidride solforosa nell’”enologia biologica” è tollerato. Storicamente l’anidride solforosa, come agente antimicrobico e antiossidante, ha consentito di ottenere vini più sani ed di maggiore serbevolezza. Ad oggi risulta ancora un prodotto di cui difficilmente si può fare a meno, da qui la “tolleranza” anche nell’ambito della produzione biologica. 

Invece la riduzione del suo tenore nel vino al consumo rimane tuttora un obiettivo prioritario da perseguire, sia nella produzione tradizionale, che, a maggior ragione, nel “biologico” (Simoni, 1995).
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Disciplinari di produzione.
Non vi sono normative che consentono di definire un “vino biologico”, ma vi sono disciplinari di produzione con precisi parametri di riferimento che impongono tecniche di coltivazione della vite e di trasformazione dell’uva, la cui applicazione consente di definire il prodotto finale “vino ottenuto con uve provenienti da agricoltura biologica”. 

Tali disciplinari sono inseriti nel sistema di controllo definito dal Regolamento 2092/91, nel quale sono definite le norme generali riguardanti l’etichettatura, gli standard di produzione, il sistema di controllo, le disposizioni relative all’importazione di prodotti biologici da paesi terzi, concimi, ammendanti e presidi sanitari consentiti per la lotta fitosanitaria.

A livello internazionale ci sono differenze tr le principali normative: quella europea e quella statunitense (tra le regolamentazioni che hanno valore legislativo) e le Norme Ifoam e le Linee Guida del Codex Alimentarius (che sono invece delle linee di indirizzo). 

Una commissione internazionale (la ITF, International Task Force on Harmonization and Equivalence in Organic Agriculture) lavora all’armonizzazione delle regole sulla produzione biologica nel mondo. Nella bozza del nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica, ancora in discussione, è comunque previsto esplicitamente l’inserimento della vinificazione.
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A complicare il quadro c’è poi la situazione italiana. Nel nostro paese, infatti, i vitivinicoltori biologici non hanno elaborato un disciplinare di vinificazione comune, come è avvenuto ad esempio in Francia, anche se in epoca molto recente. 

I disciplinari sulla vinificazione biologica, anziché da parte dei produttori e delle loro associazioni, sono stati elaborati dai principali organismi di controllo, il cui compito è in realtà quello di controllare l’applicazione del disciplinare stesso e non, in linea teorica, di redigerlo. Questa situazione è comunque il frutto dello sviluppo storico dell’agricoltura biologica in Italia per cui, dopo l’entrata in vigore della normativa europea nel 1991, si è giunti solo in un secondo momento alla completa differenziazione tra le attività di controllo e certificazione e quella delle organizzazioni dei produttori biologici. 

Associazioni e Organismi di controllo operanti nel biologico hanno definito disciplinari di produzione per la vinificazione. Il mancato rispetto di tali disciplinari consente ugualmente al vino di fregiarsi della dizione “vino ottenuto con uve provenienti da agricoltura biologica” se le uve sono state ottenute nel rispetto della normativa. Il rispetto dei disciplinari di vinificazione è invece associato a marchi di tipo volontario quali “garanzia AIAB” o “garanzia biologico AMAB”.

Per AIAB, l’agricoltura biologica non è solo un metodo di produzione, ma anche una scelta a favore della biodiversità e della tutela dell’ambiente, del rispetto delle condizioni di vita degli animali allevati e dell’impegno etico nei confronti di chi lavora in agricoltura: insomma un modello di sviluppo ecosostenibile.
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Stabilimenti di trasformazione: norme generali.
Oltre alle pratiche tecnologiche specifiche, i disciplinari riportano anche requisiti riguardanti gli stabilimenti di produzione, le procedure per l’individuazione la separazione delle partite di produzione biologica rispetto alla produzione tradizionale se presenti entrambe in stabilimento. Tale aspetto viene sottolineato, e deve essere considerato da aziende che trasformino anche prodotto tradizionale in quanto questo comporta separazione spaziale e temporale fra le due produzioni, con necessità quindi di una buona organizzazione dei flussi di materia prima e di semilavorato. 

Per quanto riguarda invece gli stabilimenti di produzione, oltre a richiamare il rispetto delle normative vigenti in materia agroalimentare, i disciplinari rimarcano anche la qualità, la pulizia e la manutenzione dei materiali costruttivi e degli impianti che vengono a contatto con il prodotto, specificando a volte i materiali e i detergenti ammessi. In particolare, come materiale viene esclusa la vetroresina, normalmente in uso nell’industria enologica, anche se in via di sostituzione con l’acciaio inox. 

   
Pratiche e trattamenti enologici.
I disciplinari riportano indicazioni vincolanti, sottolineando a volte come espressamente “vietate” pratiche comunemente ammesse dalla legislazione. Inoltre per quanto ammesso, in certi casi vengono anche indicate quali pratiche siano da preferire rispetto ad altre, con indicazione quali “ammesso” oppure “consigliato”. Per l’aumento della gradazione alcolica dei mostri, nell’ambito del biologico si devono privilegiare innanzitutto le pratiche agronomiche che consentano di ottenere uve con composizioni equilibrate. 

Se però si rendesse necessario ugualmente intervenire per aumentare il tenore zuccherino delle uve è ammesso l’utilizzo di mosto concentrato e MCR provenienti da uve ottenuto secondo il metodo di produzione biologica. I limiti imposti da una vinificazione biologica, rispetto a quanto legalmente ammesso,sono decisamente limitati. Per prodotti o pratiche non ammessi è possibile individuare altri prodotti ammessi ad attività analoga o pratiche enologiche idonee per ottenere il medesimo risultato, e quindi il processo può tranquillamente essere portato correttamente a termine. 

La microbiologia enologica: l’utilizzo di lieviti è ormai pratica consolidata e ammessa anche nei disciplinari biologici, cosi come l’utilizzo di sali d’ammonio (in particolare fosfato di ammonio e solfato di ammonio), tiamina, scorze di lievito per favorire lo sviluppo di una corretta fermentazione. 

Anche l’uso di batteri selezionati è stato rapidamente ammesso nel biologico dopo essere stato autorizzato dalla legislazione. I disciplinari non sono quindi normative rigide,ma devono seguire costantemente lo sviluppo della ricerca enologica. A proposito di questa ultima considerazione deve essere valutato anche il possibile impiego del lisozima, recentemente autorizzato all’impiego, che potrebbe contribuire a ridurre i dosaggi di anidride solforosa per il suo effetto di contenimento della carica batterica. 

L’aggiunta di lieviti intesi come fecce fresche da aggiungere al vino, per favorire l’affinamento grazie ai processi di lisi cellulare, è praticamente ammessa e, se ben condotta, in grado di contribuire positivamente alla qualità del vino. La legge ammette anche l’uso dell’anidride carbonica come additivo per la produzione di vini gassificati,ma è ovvio e condivisibile che questa tipologia non venga assolutamente presa in considerazione nella produzione “biologica”. 

Chiarificazione e stabilizzazione: la chiarificazione (illimpidimento) può essere ottenuta con mezzi fisici: centrifugazione e filtrazione, con o senza coadiuvante di filtrazione inerte.
uva
Numerosi sono i prodotti per uso enologico utilizzati con la finalità di chiarificare e stabilizzare il vino. Tali interventi possono essere effettuati in qualsiasi momento del processo. Vengono ammessi dal disciplinari: gelatina alimentare, colla di pesce, caseina e caseinati di potassio, ovalbumina, bentonite, diossido di silicio, caolino, tannino. A volte parte dei divieti posti dai disciplinari sui prodotti ad uso enologico non riguardano il prodotto in se,ma particolari formulati. Un esempio è la gelatina, per cui viene vietata la gelatina in forma liquida, per la composizione e gli stabilizzati presenti, ma risulta pienamente ammessa la gelatina forma polverulenta o in scaglie. 

Vietato dai disciplinari è l’uso del carbone, ma deve essere ricordato come questa sia in realtà una pratica generalmente correttiva o comunque conseguente a pratiche enologiche non ottimali per una vinificazione di qualità. Il carbone riduce eventuali anomalie contemporaneamente sottraendo anche caratteri qualitativamente positivi. 

Vietato dai disciplinari è anche l’uso di polivinilpolipirrolidone, ma altri prodotti come ad esempio chiarificanti naturali possono svolgere un’azione analoga. Ai fini della chiarificazione dei mosti e dei vini interessanti sono gli enzimi, che svolgono anche altre funzioni tecnologiche con positivi effetti sulla qualità dei vini. La legislazione e i disciplinari ammettono l’uso di enzimi pectolitici,che intervengono sulle pectine favorendo l’estrazione dalle vinacce e l’illimpidimento di mosti e vini, e l’uso di betaglucanasi per la degradazione di lucani, in particolare provenienti da uve colpite da Botrytis Cinerea. Vietato è l’uso del ferrocianuro di potassio. 

Si ribadisce come la presenza di eccessi di metalli sia generalmente conseguente ad arricchimenti dovuti al contatto con materiali non perfettamente inertizzati. La diffusione dell’impiantistica in acciaio inox sta però praticamente superando questo problema. La correzione dell’acidità: il processo di maturazione dell’uve non sempre raggiunge condizioni ottimali di equilibrio compositivo. Cosi, come talvolta è necessario intervenire per arricchire il grado zuccherino, altre volte può essere necessario agire sul mosto o sul vino per modificare l’acidità. Le pratiche di acidificazione e disacidificazione sono quindi ammesse,definendo i prodotti utilizzabili. Per l’acidificazione è ammesso dalla legislazione e dai disciplinari il solo acido tartarico.
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Per la disacidificazione sono ammessi da soli o in formulati misti tartrato neutro di potassio e carbonato di calcio. La legislazione ammette anche l’uso di bicarbonato di potassio e tartrato di calcio che trovano invece limitazioni in alcuni disciplinari. Antiossidanti e antimicrobici: i “conservanti” utilizzati nel vino possono avere azione antimicrobica oppure svolgere funzione di protezione dalle ossidazioni. 

L’anidride solforosa, che svolge entrambe le azioni, è ad oggi ancora considerata insostituibile. I disciplinari biologici ne ammettono l’uso,riducendo però i limiti consentiti nel prodotto al consumo. Con attività antiossidante la legislazione e i disciplinari ammettono l’uso di acido citrico e acido L-ascorbico. Con attività antimicrobica la legislazione ammette l’uso di acido sorbico o sorbato di potassio. 

L’utilizzo dell’acido sorbico per ridurre il rischio di rifermentazione in bottiglia nei vini dolci può essere vitato con una moderna linea tecnologica di riempimento, completa di sistemi di lavaggio e sterilizzazione delle bottiglie e dell’impianto di riempimento e di sistema di microfiltrazione sterilizzante del vino. Inoltre, non essendo ammessi dai disciplinari trattamenti termici di stabilizzazione microbiologica del vino, ovvero la pastorizzazione,la microfiltrazione sterilizzante a freddo risulta l’unica corretta pratica applicabile. 

Le precipitazioni tartariche: la qualità commerciale di un vino prevede che non debbano verificarsi precipitazioni in bottiglia, per cui si deve intervenire anche per prevenire la formazione di Sali di acido tartarico che diano origine a cristalli sul fondo della bottiglia. I possibili interventi sono i seguenti : 

Aggiunta di bitartrato di potassio e/o di tartrato di calcio per favorire la precipitazione del tartrato,ammesso anche dai disciplinari. Tale aggiunta viene generalmente effettuata in sinergia con basse temperature (prossime al punto di congelamento del vino). L’uso di acido racemico per la precipitazione del Calcio non è ammesso dai disciplinari biologici.
  • Aggiunta di composti che inibiscono la precipitazione, ed in particolare la gomma arabica (ammesso nel biologico) e acido metatartarico (ammesso solo da alcuni disciplinari). A livello tecnologico deve essere considerato che la pratica della stabilizzazione a freddo con i cristallizzanti sopra indicati, coadiuvata dall’aggiunta di gomma arabica in bottiglia,può rendere non necessario l’impiego di acido metatartarico.
Una citazione deve essere fatta a proposito del solfato di rame, ammesso dalla legislazione e non dai disciplinari, per l’eliminazione di difetti di gusto o di odore del vino. Si tratta del difetto definito “odore di ridotto”, che può derivare da fermentazioni condotto da lieviti non idonei o da tardive azioni di illimpidimento e pulizia dei vini. Solo una cura e un controllo costante sul vino consentono di evitare problemi o di intervenire tempestivamente con travasi e filtrazioni. 
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Conclusioni.
Si può affermare che la coltivazione dell’uve da vino con tecnica biologica può rappresentare per taluni ambiti territoriali una valida alternativa alla coltivazione convenzionale. 

Soprattutto nell’attuale momento in cui il consumatore è alla ricerca di prodotti alimentari particolari, che rispondano a determinate esigenza di “qualità, sicurezza alimentare e tracciabilità”, la coltivazione biologica può rappresentare una adeguata risposta. Si aggiunga poi che il consumatore, pur di avere queste garanzie, è disposto a pagare di più, per cui l’agricoltore trae anche il vantaggio di poter offrire sul mercato un prodotto a più alto valore aggiunto, con indubbi vantaggi per il suo reddito netto e per il collocamento della produzione. In un futuro ormai prossimo le nostre produzione vitivinicole dovranno confrontarsi non soltanto con quelle caratterizzate dalla presenza di un materiale genetico estraneo ma con quelle provenienti da Paesi caratterizzati da costi di produzione inferiori, da Paesi che non hanno eccessive restrizioni nell’utilizzazione di terminati prodotti chimici, siano essi concimi e/o antiparassitari o fitoregolatori, ecc., da Paesi nei quali il lavoro minorile non è tutelato, o addirittura incentivato e/o sfruttato.

Tutto ciò comporterà la realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti alimentari, un mercato dove l’imperativo sarà produrre di più (non importa con quale materiale genetico, non importa con quali metodi, non importa in quali Paesi) ai più bassi costi possibili, per poi vendere i prodotti ottenuti sui mercati dove ci sono i capitali per acquistarli. Ciò che andrà verificato nel lungo periodo è se il processo di globalizzazione dei mercati può rappresentare per la vitivinicoltura del nostro Paese un’opportunità o, al contrario, una strada pericolosa, che potrebbe determinare effetti dannosi per il benessere della nostra società. Le opportunità sono legate soprattutto alla possibilità di poter ampliare le esportazioni verso altri Paesi consumatori. A questo proposito occorre però rilevare che i prezzi delle nostre produzioni, in relazione ai maggiori costi di produzione sono, in genere, superiori a quelli dei prodotti simili offerti sul mercato mondiale. In questo contesto occorre rilevare che:
  • è illusorio pensare di poter competere con le altre aree di produzione con i medesimi prodotti, sulla base dei bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita sul mercato;
  • non convince il fatto di pensare che le altre aree mondiali non riusciranno a produrre vini di qualità;
  • occorre differenziare (nei prodotti, nel confezionamento e nei metodi di produzione) la nostra offerta, al fine di consentire al consumatore una scelta consapevole;
  • occorrerà valorizzare il nostro sistema Paese, lavorando soprattutto su qualità, sicurezza alimentare e tracciabilità, in quanto saranno questi gli elementi in grado di determinare, almeno nel breve periodo, valore aggiunto per i prodotti della nostra vitivinicoltura.
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viticoltura biologica mapIl settore biologico italiano attraversa un momento di assestamento, testimoniato anche dai più recenti dati produttivi. 

Sul piano del mercato, i prodotti biologici reggono alla crisi,tenendo sia nel settore della grande distribuzione, dove sono sempre più radicati, con un numero di referenze in crescita; sia nei canali di vendita alternativi, dalla vendita diretta ai mercati contadini, che attraggono un numero crescente di italiani che vogliono coniugare qualità e risparmio. Sul piano produttivo, l’agricoltura biologica italiana resta leader in Europa. 

Al 31 dicembre 2009, secondo le elaborazioni del Sinab sulla base dei dati forniti dagli Organismi di controllo, gli operatori biologici erano 48.509, con una riduzione complessiva, rispetto all’anno precedente, del 2,3%. A diminuire sono soprattutto i produttori agricoli (-3,7%), mentre crescono i trasformatori (+ 3,5%). Alla diminuzione degli operatori fa riscontro un netto aumento delle superfici (biologiche o in conversione): siamo infatti risaliti a 1.106.684 ettari, con un aumento del 10,4 % rispetto al 2008. In pratica, abbiamo meno aziende agricole biologiche ma di maggiori dimensioni. Il numero di operatori si attesta sui valori abbastanza costanti degli ultimi cinque anni (dal 2005), con piccole oscillazioni, mentre la netta ripresa delle superfici fa seguito all’altrettanto netta diminuzione che si era verificata nel 2008. 

L’Italia mantiene il primato in Europa per il numero di operatori certificati e resta leader per ettari di superficie coltivati secondo il metodo biologico (escludendo i pascoli gestiti in biologico, in cui la Spagna primeggia). Poche novità anche per quanto riguarda la distribuzione regionale e quella per colture. Nonostante i numeri forniscano nel complesso dei segnali positivi,è chiaro che c’è tanto da fare per ridare slancio a un settore che vede il nostro Paese ai primi posti nel mondo. 

Un cambiamento molto importante è costituito dal nuovo logo europeo del biologico: è importante che i consumatori familiarizzino subito con il nuovo marchio che sarà obbligatorio sui prodotti biologici confezionati. 

La consistenza della coltivazione biologica della vite in Italia ha seguito, nelle linee fondamentali, l’andamento produttivo generale dell’agricoltura biologica. Dopo un decennio di crescita a ritmi molto elevati, a partire dall’approvazione della normativa europea nel 1991, negli ultimi anni si sta registrando una diminuzione delle superfici coltivate e delle aziende, anche per quanto riguarda la viticoltura.

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L’andamento delle superfici dei vigneti biologici in Italia va inquadrato all’interno dell’andamento generale della superficie biologica totale. Infatti, non è un caso che nel 2002 - anno di massimo storico della superficie vitata biologica - si sia toccato anche il massimo della superficie agricola biologica: 1,2 milioni di ettari, tutti di superficie biologica certificata, con un aumento di quasi 200.000 ettari rispetto al 2000. Dal 2002 è iniziato il lento ridimensionamento del settore, che nel 2008 è ritornato al di sotto del milione di ettari complessivo: 954.361 ettari. I motivi dell’andamento negativo della superficie biologica, a partire dal 2002, sono stati in particolare tre:
  • la fine del periodo dei contributi per l’agricoltura biologica, previsti dai Psr (Piani di sviluppo rurale);
  • la crisi dei consumi legata alla crisi economica generale dell’Italia;
  • la mancata valorizzazione delle produzioni biologiche, in termini di prezzo all’origine, che ha indotto molte aziende ad abbandonare il biologico.
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La situazione viticola biologica regionale
Per analizzare in dettaglio la ripartizione regionale della produzione viticola biologica, occorre fare riferimento ai più recenti dati disponibili, che sono quelli aggiornati al 31-12-2003. Su un totale di 31.709 ettari esiste, come negli anni precedenti, una netta prevalenza del Sud e delle Isole. Otto regioni, comprese Abruzzo e Molise, rappresentano la metà della superficie nazionale (circa 16.517 ettari).
Sei regioni concentrano in totale quasi il 70% delle superfici viticole biologiche:

  • Sicilia 7.674 ettari
  • Toscana 3.946
  • Puglia 2.888
  • Abruzzo 2.589
  • Emilia R. 2.522
  • Marche 2.245
La diminuzione delle superfici dal 2001 in poi ha determinato anche un netto riequilibrio territoriale. Alcune regioni, che avevano superfici molto elevate, sono diminuite più di altre: in particolare la Sicilia, arrivata nel 2001 a 14.837 ettari, pari a circa il 37% del totale nazionale, che ora vede la sua incidenza scendere al 24%, e l’Abruzzo. 
 
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Il vivaismo viticolo biologico allo stato dei fatti
Ad oggi non esiste un vero e proprio vivaismo viticolo biologico. In Italia, come all’estero, il panorama è rimasto ancorato a poche aziende vivaistiche che hanno portato avanti un metodo di produzione finalizzato a soddisfare la richiesta di alcuni loro clienti. I limiti più evidenti per una produzione biologica tradizionale “in terra” possono essere cosi riassunti: 1) i terreni su cui viene impiantato il barbatellaio devono essere condotti con tecniche di gestione biologica da almeno 2 anni; 2) la particolare tecnica di forzatura facilita l’insorgere di muffe 3) l’obbligo di mantenere sano il barbatellaio si scontra con la necessità di ridurre gli apporti di rame; 4) il prezzo di vendita è ancora scollegato ai costi di produzione.
 
A differenza di alcuni anni fa,quando si pensava che un solo clone di una determinata varietà ed un solo portinnesto, potessero essere la risoluzione a tutti i problemi, oggi si assiste alla giusta richiesta di svariate selezioni clonali per mantenere all’interno di un vigneto quella biodiversità capace di adattarsi alle mutevoli condizioni climatiche. In virtù di questo il vivaista biologico dovrebbe attrezzarsi con una completa serie di accessioni clonali che di fatto è difficile da realizzare. 

La tecnica tradizionale è ancora ingestibile, biologicamente alla luce delle conoscenza attuali, anche in relazione agli elevati quantitativi di rame e zolfo da distribuire in barbatellaio. Per questo motivo la tecnica vivaistica si è indirizzata verso le produzioni fuori terra che permettono di risolvere un altro grande problema: la disponibilità di terreni idonei alla gestione biologica di un vivaio.
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