Anche se dedichiamo molte cure alle nostre piante, spesso queste si ammalano: bisogna sapere individuare con precisione il motivo per cui soffrono per porre rimedio nel migliore dei modi; ma come fare per capire da che cosa sono affette le nostre piante?

Malattie e cure.
Una pianta sempre ben curata è sicuramente più resistente alle malattie ma non è certo che non si ammali.

Ti illustriamo in che modo individuare il problema e i suoi sintomi, quali piante devi proteggere e come debellare gli attacchi parassitari.

Afidi.


Si individuano con facilità. Non sono parassiti molto dannosi anche se vanno attaccati per tempo in quanto possono arrivare a diventare molto invadenti, favorendo la comparsa di altri parassiti

Piante a rischio.
Afelandra, crisantemo, dalia, dizigoteca, edera, ibisco, ortensia, viola, petunia, ra-darmachera, rosa e yucca.

Soluzioni
.
• Pulire le foglie con del cotone bagnato in acqua, eliminando gli insetti uno ad uno.
• Tagliare i butti teneri; si individuano facilmente perché è dove si vanno ad annidare per primi.

E dopo:
Isolare la pianta colpita e controllarla pe-riodicamente.



Cocciniglia.


I peggiori parassiti per le piante da inter­ni: sono invadenti e difficili da eliminare. Si nascondono sotto un cappuccio a for­ma di scudo rigido, ceroso oppure simile al cotone.

Piante a rischio.
Oleandro, anturio, azalea, schefflera, croton, dieffembachia, ficus, felce, ibi­sco, edera, yucca e la maggior parte delle palme.

Soluzioni.
• Si possono eliminare con acqua o con una soluzione di alcol e sapone neutro.
• Vaporizzare sulla pianta e poi eliminare gli insetti con un panno.

E dopo:
Trasferire la pianta in un luogo più fresco e umido.

Trips.
E un insetto molto piccolo ma visibile ad occhio nudo e quando si trova in grandi gruppi risulta uno dei parassiti più dan­nosi. Si trova specialmente sulla pagina delle foglie.

Piante a rischio.
Begonia, calancoe, camelia, clivia, ficus elastica, geranio, edera e peperoncino.

Soluzioni.
• Fare una doccia alla pianta con acqua tiepida o immergere la parte aerea in ac­qua se le foglie non sono villose.
• Se il lavaggio non è stato sufficiente eliminare le parti danneggiate.

E dopo:
Collocare la pianta in un luogo più fresco e ventilato; ridurre le annaffiature e la­sciarla isolata.

Mosca bianca.




Non risulta molto dannosa e si individua con facilità: basta muovere un po' le fo­glie e gli insetti, minuscoli, voleranno via.

Piante a rischio.
Fior di vetro, calatea, papiro, lingua di suocera, fucsia, geranio, gerbera, ibisco, ortensia e primula.

Soluzioni.
• Fare una doccia alla pianta con acqua tiepida o sommergere la parte aerea in acqua, ma soltanto se le foglie non
sono villose.
• Eliminare le parti danneggiate.

E dopo:
Isolare la pianta e vigilare sulla pagina delle foglie per vedere se ci sono uova depositate.

Insetti nella terra
.
Afidi, vermi delle radici, chiocciole e lu­mache, incluso forbicette. Sono difficili da individuare, si possono vedere quando si muovono o, se non si vedono, la pianta si presenta debilitata e avvizzita.

Piante a rischio.
Fior di vetro, aloè (vermi delle radici), anturio, bulbi (lumache e vermi) e tagete. Tutte, se si tratta di formiche.

Soluzioni.
• Collocare trappole di notte: una foglia di lattuga vicino alle piante che presenta­no parti marcite.
• Estrarre la pianta dal vaso, eliminare la terra e lavare le radici, tagliando le estre­mità danneggiate.

E dopo:
Piantare la pianta con un nuovo substrato e sbarazzarsi di quello vecchio.

Acari.


Minuscoli artropodi, molto invadenti e difficili da vedere. Di solito si individua­no con molto ritardo.

Piante a rischio.
Aglaonema, fior di vetro, aralia, camadorea, monstera, coleo, cordiline, crisantemo, croton, gardenia, kenzia, maranta, pilea e potos.

Soluzioni.

• Vaporizzare la pianta con acqua tiepida e pulita foglia per foglia.
• Fare una doccia con una pistola apressione agli essemplari da esterno più resistenti.

E dopo:

Controllare le piante con frequenza, sopratutto se si trovano in ambiente con i caloriferi accesi.


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I pregi di questo tipo di pomodoro, coltivato da sempre nel sud Italia, fanno sì che trovi spazio negli orti familiari. Il problema sta nella difficoltà di reperire la semente.

II «pomodoro da serbo» è un ortaggio intimamente legato alla cultura alimentare del sud Italia. In passato questo ortaggio rappresentava l'unica fonte da cui si po­tesse attingere per il consumo fresco di pomodoro nel periodo autunno-invernale.

Non ha bisogno di irrigazioni, né di interventi antiparassitari e si conser­va allo stato fresco fino a primavera.

Questo pomodoro si trova prevalente­mente nelle regioni meridionali (Cam­pania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sici­lia) dove viene coltivato in piccoli ap­pczzamenti a partire dal livello del mare sino ai 500 metri di altitudine.

Di questo pomodoro si conoscono di­versi tipi che si differenziano principalmente per la forma (rotondeggiante, ovoidale, piriforme) e per il peso (che può aggirarsi dai 10 ai 25 grammi del frutto) sempre di colore rosso intenso.

Rispetto alle altre varietà coltivate dello stesso ortaggio, ha un maggiore contenuto di composti an­tiossidanti (vitamina C, licopene, ecc.).



La peculiarità di questo pomodoro è quella di essere tradizionalmente coltiva­to «in seccagno», cioè senza l'utilizzo dell'irrigazione, fattore molto importante perché la scarsità di acqua rappresenta uno dei principali problemi che affliggo­no i Paesi caldo-aridi, il risparmio d'ac­qua ottenuto dal non irrigare si traduce, anche, in un risparmio economico non indifferente.

Altra caratteristica impor­tante è quella che non richiede interventi antiparassitari o con prodotti diserbanti perché lo sviluppo delle erbe infestanti in assenza di acqua è molto contenuto.


Poi, come si diceva all'inizio dell'arti­colo, grazie al notevole spessore della pol­pa e alla sua elasticità, la disidratazione è molto limitata e quindi si può consumare il frutto allo stato fresco fino a primavera. La conservazione dei pomodori avviene in luoghi asciutti, freschi e ben arieggiati.
Perché è poco coltivato nonostante i molti pregi.



Le basse rese (in un ettaro si producono circa 170 quintali di po-modororo, contro gli oltre 800 quintali del pomodo da industria), riconducibili al fatto che essa non viene irrigata, e gli elevati costi di manodopera nella colti­vazione, hanno determinato, a livello professionale, una graduale riduzione delle superfici coltivate.

Quindi il rilan­cio e la conservazione del patrimonio genetico del «pomodoro da serbo» pas­sano per la coltivazione negli orti fami­liari anche se la difficoltà del reperimen­to del seme - è disponibile solo presso pochi agricoltori che lo riproducono per l'autoconsumo - è un fattore limitante.



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E’ una bellissima pianta di appartamento dalle foglie e fiori belli e particolari, la cosa che la rende così comune a tante appassionate del verde è il fatto che resiste anche in ambienti non propio luminosi al massimo.

Ha foglie a forma di lancia dal colore verde scuro che spuntano direttamente dal terreno da piccolissimi e cortissimi piccioli, mentre i fiori di un candido colore bianco sono alla punta di esse, essi hanno una lunga durata anche alle volte resistono per un mese intero e prima di seccare assumono la colorazione verde.

Questa particolare pianta ha bisogno di una temperatura che va dai 18 ai 2o °C. deve essere posizionata lontana da fonti di calore e non alla luce diretta del sole, è bene che non abbia contatto con l’acqua quindi vi consigliamo di mettere nel suo sottovaso dell’argilla espansa in modo da isolarla dall’umidità continua.

Innaffiate soltanto quando vi accorgete che il terreno è secco e asciutto , e concimate una volta la settimana dalla Primavera all’Autunno per sospendere poi in Inverno. Non hanno bisogno di ambienti molto luminosi, è necessario purchè fioriscano avere almeno due-tre ore al giorno di luminosità intensa.

Spathiphyllum - genere delle Araceae Juss., sottofamiglia delle Monsteroideae, tribù delle Spathiphylleae, comprende circa 30 specie tropicali dalla forma elegante, che raggiungono il metro di altezza, con i fiori riuniti in uno spadice avvolto in una spata bianca o verdastra, note col nome comune di Spatafillo, Spatifillo o anche Pianta cucchiaio per la caratteristica forma della spata floreale.

La loro particolarità è la totale mancanza di fusto: le foglie crescono infatti direttamente da un rizoma sotterraneo.

Tra le specie coltivate citiamo lo Spathiphyllum floribundum originario di Colombia, Ecuador, Panama e Venezuela, pianta perenne alta da 30 a 60 cm; lo Spathiphyllum wallisi originario di Panama, pianta perenne alta da 50 cm a 1,2 m a seconda della varietà, ha foglie lanceolate di colore verde-vivo lunghe circa 10-15 cm con un lungo e robusto picciolo di circa 15 cm, i fiori primaverili-estivi sono riuniti in una infiorescenza giallastra a spadice avvolta da una spata di colore bianco, in cima ad un peduncolo lungo fino a 50 cm.

Richiede ambienti caldo umidi e ombreggiati con temperature minime invernali non inferiori ai 12 °C, nella bella stagione concimare 2 volte al mese con fertilizzanti liquidi, frequenti annaffiature estive, diradate d'inverno, spruzzature quotidiane delle foglie, rinvasare ogni 2-3 anni usando terriccio universale misto a torba, per gli individui di grandi dimensioni si preferisce praticare una potatura delle radici anziché rinterrare.

Si moltiplica con la semina o la divisione dei cespi in primavera
Avversità.

    * L'eccesso di ristagno idrico provoca l'ingiallimento delle foglie
    * L'esposizione ai raggi solari diretti provoca macchie necrotiche sulle foglie esposte
    * Gli ambienti troppo umidi e con basse temperature possono favorire i marciumi radicali causati da funghi
    * È sensibile ad attacchi di afidi, acari e cocciniglia farinosa

Specie.

Il genere Spathiphyllum Schott comprende le seguenti specie:

    * Spathiphyllum cannifolium (Dryand.) Schott
    * Spathiphyllum cochlearispathum (Liebm.) Engl.
    * Spathiphyllum floribundum (Linden & André) N.E. Br.
    * Spathiphyllum grandifolium
    * Spathiphyllum hybrid
    * Spathiphyllum patinii (Mast.) N.E. Br.
    * Spathiphyllum wallisi Regel




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Insieme al vino le castagne costituivano in passato il nutrimento abituale della gente comune, attri­buibile in parte alla facile reperibilità e al loro alto potere energetico.

Oggi che ci siamo lasciati alle spalle le esigenze primarie del fabbisogno calorico e guardiamo invece a questo frutto con l'attenzione che si dedica ai piaceri della tavola e al concetto dell'abbinamento cibo-vino, ti accorgiamo del valore di questo particolare connubio tramandateci dal sapere antico.

Perché il vino rosso, però, è in genere il più indicato? È vero che molto dipende dal momento del servizio, dal condi­mento e dagli altri ingredienti che andranno a comporre la ricetta, ma vale la pena ricordare che la gradevole presenza nei vini rossi, anche in piccola quantità, del tannino, una sostanza praticamente assente nei vini bianchi, mitiga la succulenta pastosità tipica della castagna.




Anche se si tratta sostanzialmente di un prodotto molto versatile che trova abbondante collocazione nella nostra tradizione gastronomica, vanno ricordati nello specifico alcuni esempi.

La farina di castagne, ricca di amido ed uti­lizzata in aggiunta alla farina di grano duro per preparare paste fresche oppure essiccate richiede in abbinamento vini freschi e sapidi come una Barbera del Monfìerrato od eventualmente anche leggermente vivaci come uno spu-meggiante Lambrusco di Sorbara capace di contrastare la tendenza dolce del piatto.

Se si propone, invece, un gradevole intermezzo oppure una piacevole merenda con la classica caldarrosta cotta al fuoco di carbonella nella padella di ferro bucata, è possibile accostare vini rossi giovani, fragranti, poco impegnativi e H^gari con un leggero residuo zuccherino per mitigare la lieve nota amara conferita dalla cottura a fuoco diretto, come la Cagnina di Romagna, oppure il Sangue di Giuda e l'Oltrepò Pavese.

Con le castagne bollite in acqua salata e passate al setac­cio oppure allo schiacciapate si può preparare un'ottima purea, seguendo lo stesso procedimento usato per la purea Jdfepatate, da utilizzare come contomo per accompagnare carni di maiale o salsicce.

In questo caso sarà opportuno, in funzione della cottura, utilizzare vini rossi di maggiore pittura come un vellutato Teroldego Rotaliano oppure un austero e tannico Aglianico del vulture.

L'abbinamento vino rosso e castagne ha origini remote. Un classico m tavola ancora oggi
Non bisogna neppure dimenticare che, grazie alla loro consistenza farinosa, le castagne sono molto utili per arric­chire un polpettone di verdure oppure per dare consistenza ai ripieni con cui si farciscono faraona, tacchino o più in generale tutto il pollame nobile.

La presenza delle verdure, nel primo caso, orienterà la nostra scelta verso un rosso giovane come un Grignolino d'Asti, mentre con le carni andrà meglio un maturo Refosco dal Peduncolo Rosso.

Al momento del dessert ci potremmo veramente sbizzarri­re con frittelle, castagnaccio, marroni canditi allo sciroppo oppure i classici marrons glacés. Qui l'aggiunta di zucchero renderà talmente evidente la componente dolce da consigliarci vini importanti e strutturati, caratterizzati allo stesso modo dall'esuberan­te nota dolce; in questo caso andranno molto bene vini morbidi e complessi come il Refrontolo passito oppure l'Aleatico dell'Elba.


Alcune ricette che ti posso interessare:



Anelli di castagne e prosciutto





Gnocci di castagna alla fontina





Castagne sautè nella tartelletta





Castagnaccio con finferli e montasio





Castagne rustiche con il guanciale





Millefoglie con zucca e castagne





Monte Bianco



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